Giuntoli sul banco degli imputati. Nel calcio, come nella vita, le responsabilità non si dividono in modo comodo o schematico: si assumono o, per lo meno, dovrebbe essere così. E quando una stagione si chiude, o rischia di chiudersi, con l’amaro in bocca, è inevitabile porsi delle domande. La Juventus, club abituato a ben altri palcoscenici e ambizioni, si ritrova ancora una volta a fare i conti con una realtà distante anni luce dai fasti del passato. E se è vero che ricostruire non è mai facile, è altrettanto vero che alcune scelte – e alcune mancanze – non possono passare inosservate.
Giuntoli doveva essere l’uomo del rinnovamento ed era arrivato a Torino con l’aura di chi ha saputo costruire un capolavoro a Napoli. Il suo curriculum parlava chiaro, così come le sue idee: sostenibilità economica, valorizzazione dei giovani, costruzione graduale. Ma alla Juventus, dove ogni transizione è per definizione meno tollerata, il tempo è merce rara e ad oggi nulla di tutto questo si è visto. Le scelte di mercato, seppur condizionate da vincoli evidenti, non hanno inciso. Anzi, in parecchi casi hanno lasciato dubbi. Il centrocampo continua a essere un reparto povero di qualità e personalità, e l’attacco è finito in uno stato di profonda crisi d’identità ben rappresentata dallo stato nel quale è venuto a trovarsi mister 80 milioni, al secolo Dusan Vlahovic. Nessun vero leader tecnico è emerso, nessun uomo squadra capace di accendere la scintilla nei momenti decisivi. La costruzione dell’identità, vera ossessione di ogni progetto credibile, è sembrata mancare fin dall’inizio, ma più precisamente è stata smantellata scientemente fin dall’inizio. Giuntoli ha il dovere di guardare al futuro con lucidità, ma è giusto pretendere che già oggi si intraveda una direzione chiara e, al momento, quella direzione non si vede.
Giocatori senza anima: la maglia bianconera pesa, e si vede e non più tardi di 48 ore fa lo stesso Igor Tudor, nella sua lucida analisi post Parma-Juventus, lo ha sbattuto sul piatto e in faccia a tutti. La Juventus non è un club qualsiasi. Indossare quella maglia significa portare sulle spalle un’eredità fatta di vittorie, ma anche di responsabilità. Eppure, in questa stagione, troppi giocatori hanno dimostrato una preoccupante leggerezza, non solo tecnica – che può capitare – ma soprattutto caratteriale. L’assenza di personalità, di quella fame che dovrebbe appartenere a ogni calciatore juventino, è stata la cifra dominante di tante prestazioni. Quando mancano il fuoco, la reazione, il senso di appartenenza, allora il problema non è solo tattico. È culturale. È emotivo. Serve gente che sappia prendersi la Juventus sulle spalle nei momenti bui, non solo quando si vince facile. E oggi, tolti pochi elementi, questo gruppo appare fragile, spaesato, incapace di affrontare le difficoltà con lo spirito che la storia del club impone.
Concludendo, non è questione di trovare un capro espiatorio. È questione di responsabilità. Giuntoli, i dirigenti, lo staff tecnico, ma soprattutto i giocatori: tutti devono fare un passo avanti. Alla Juventus non basta partecipare. E non basta nemmeno ricostruire. Bisogna farlo con coraggio, idee e una mentalità che, ad oggi, è apparsa smarrita. Ripartire è possibile. Ma solo se ognuno, dal primo all’ultimo, saprà finalmente guardarsi allo specchio.