Nell’anno in cui la Pallacanestro Forlì 2.015 viaggia a vele spiegate con 8 vittorie su altrettanti incontri, dopo aver battuto tutte le principali accreditate alla vetta della classifica e con una pandemia che ha privato il meraviglioso pubblico biancorosso di potersi godere questo splendido “giocattolo” dal vivo ho avuto il piacere di raggiungere telefonicamente il playmaker e capitano dell’Unieuro che con grande disponibilità ha accettato questa intervista per la quale lo ringrazio pubblicamente
Buongiorno Jacopo, innanzitutto consentimi di farvi i complimenti per l’eccellente avvio di stagione. A tal proposito voglio chiederti se vi aspettavate di raggiungere questo elevato livello di pallacanestro in così poco tempo?
“Questa sicuramente era la nostra volontà, ovviamente non ci aspettavamo questo inizio così sprint anche alla luce delle problematiche di preparazione dopo tanti mesi nei quali siamo stati fermi. Però, già dalla Supercoppa, avevamo lanciato degli ottimi segnali poi confermati con questo grande inizio di stagione“.
Nell’era della Pallacanestro Forlì 2.015, l’Unieuro non aveva mai avuto un avvio così entusiasmante. A che punto è, a tuo avviso, il livello raggiunto in rapporto al potenziale che ha questa squadra?
“Secondo me abbiamo ancora dei margini di crescita pazzeschi che solo attraverso li lavoro quotidiano in palestra potremo poi mettere in mostra sul campo. Adesso dobbiamo rimanere concentrati, lavorare quotidianamente a testa bassa pensando al campo senza stare a guardare troppo i risultati per non incorrere nel rischio di pensare di essere la squadra più forte quando in realtà ce ne sono altre di migliori che in questo avvio di stagione hanno avuto dei problemi, ma che pian piano stanno crescendo. Noi dobbiamo rimanere umili lavorando a testa bassa fino in primavera, poi da quel momento, quando inizierà a contare di più, dovremo farci trovare pronti ed essere ancora più squadra. Sappiamo benissimo che giocando ogni due giorni ci sarà poco tempo per lavorare e lì dovremo dare veramente il meglio di noi stessi in ogni situazione e in ogni difficoltà“.
Tu sei alla terza stagione a Forlì. Posso chiederti un giudizio sulle precedenti due e cosa ti aspetti da quella in corso?
“Quando arrivai a Forlì c’era da subito la volontà da parte della Società di crescere anno dopo anno e devo dire che già dalla mia prima stagione, dove raggiungemmo i playoff, fu uno step di crescita rispetto alla precedente. Lo scorso anno, purtroppo, la pandemia ci ha bloccati sul più bello perché onestamente, per quello che avevamo dimostrato nel girone di ritorno, eravamo una squadra ostica per tutti. Anche parlando con i miei colleghi, in giro per l’Italia, ci temevano tutti e questo sicuramente per la Pallacanestro Forlì è stato un bel segnale anche a livello societario vista la serietà con la quale si fa pallacanestro. La Società lo sta dimostrando anche ora in momento di crisi non facendoci mancare niente nonostante i mancati introiti. Giocare a porte chiuse è un danno sia per noi, perché giocare senza pubblico è una grossa difficoltà, ma soprattutto per la Società che subisce un danno economico enorme. Nonostante questo sono stati fatti degli sforzi enormi per accrescere ancora il livello rispetto all’anno scorso e secondo il mio punto di vista siamo sulla buona strada“.
Vincere aiuta a vincere, ma osservando la squadra da fuori, l’impressione è che siate un gruppo molto affiatato. Chi è, se ce n’è uno più di altri, il vero leader di questo gruppo?
“Le vittorie sicuramente ti fanno lavorar meglio durante la settimana e ti danno la possibilità di credere ancora di più nelle tue potenzialità e nelle potenzialità dei tuoi compagni. Questo, per il nostro percorso di crescita, è senz’altro fondamentale. Relativamente al leader devo dire… (breve pausa) ce ne sono tanti perché è un gruppo che è stato costruito per fare qualcosa di importante. Per quanto mi riguarda, ci metto il massimo della mia esperienza, ma siamo andati a prendere giocatori che hanno già vinto in passato, giocatori che sanno come si vince, stranieri di primissima fascia e giovani importanti, che allo stesso tempo hanno già maturato esperienza in questo campionato. Da questo punto di vista lo dimostra anche il fatto che ogni domenica c’è sempre qualche protagonista diverso. Non c’è la stella della squadra che, palla in mano, risolve tutto lui. C’è grande forza del gruppo, che è poi quello in cui più io credo, ed anche parlando col coach e con Renato (Pasquali), che conosco da una vita, il pensiero della costruzione di questa squadra per arrivare ad alto livello è proprio basato sulla forza del gruppo. Non si può affidare tutto in mano a uno o due giocatori, serve un contesto di una squadra che ogni domenica possa trovare da uno, piuttosto che da un altro giocatore, quel qualcosa in più che ti faccia vincere. Così può capitare che una domenica sia più in forma uno e la domenica successiva un altro e questa è stata fino ad oggi la nostra forza. Per il nostro percorso di crescita dovrà continuare a rimanere una cosa fondamentale. C’è davvero bisogno di tutti“.
Tu che sei livornese purosangue come il coach puoi dirci che tipo di allenatore è Sandro Dell’Agnello?
“Devo dire che Sandro è un grandissimo perché è riuscito a portare in panchina quello che è stato capace di fare in campo con la sua fantastica carriera. E credimi che non è facile ed è tutt’altro che scontato. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di lavorare con tantissimi grandi coach, sia italiani, sia europei e Dell’Agnello ha la stoffa del grande perché riesce a motivare giorno per giorno la squadra facendola lavorare duramente, ma allo stesso tempo infondendo fiducia in ognuno di noi. Per un giocatore sentire la fiducia del proprio coach è fondamentale, significa entrare in campo più rilassati rispetto ad altri tipi di situazioni. E da questo punto di vista i risultati parlano per lui perché a Bergamo con una squadra, con tutto il rispetto, che non era niente di speciale è riuscito ad ottenere grandi risultati. Lo scorso anno qui a Forlì, dopo alcune difficoltà iniziali che ci potevano stare, è riuscito a creare qualcosa di speciale che ci ha consentito nel corso della stagione di andare in crescendo. Quella crescendo che vogliamo continuare quest’anno anche grazie ad un’ossatura di squadra che è rimasta intatta, con l’inserimento di giocatori di grande livello che ci ha permesso di ricominciare non da zero, ma da una buona base di partenza. In tutto questo Sandro è indubbiamente un valore aggiunto“.
Quando uno è forte lo è sempre, ma quando uno non è più un ragazzino è normale possa arrivare un calo fisiologico. Nel tuo percorso forlivese hai avuto un crescendo di rendimento che ormai è stabilmente su standard molto elevati. Qual è il segreto per mantenere voglia e fame sempre ad alti livelli?
“Lo dico sempre, sin da ragazzino ho visto il basket non come un lavoro ma come un divertimento e questo credo sia la cosa più importante per continuare a mantenersi in forma e avere la stessa voglia di quando cominciai. Poi ovviamente con l’avanzare dell’età gli acciacchi si fanno via, via sempre più frequenti, ma devo dire che da questo punto di vista sono contento perché riesco ancora ad allenarmi bene. Peccato per quel colpo preso prima della Supercoppa che mi ha tenuto fuori 45 giorni e per il quale mi sento ancora un bel po’ indietro di condizione rispetto al mio standard abituale, ma di settimana in settimana la mia condizione sta crescendo e conto nel giro di breve di tornare al 100% dal quale sono ancora un po’ lontano. L’importante comunque è esser tornati sul campo a lavorare tutti i giorni con i miei compagni perché poter lavorare in palestra ti permette poi la domenica di esprimerti per quello che sei riuscito a produrre in settimana. Non è pensabile allenarsi poco o male e sperare che alla domenica ti si possa accendere l’interruttore. In tutti questi anni un po’ di esperienza penso di averla maturata e come dicono tanti allenatori la partita è lo specchio di come uno si è allenato in settimana“.
L’asse play-pivot un tempo era la base della pallacanestro. Oggi il basket si è evoluto, ma l’asse Giachetti-Bruttini è la massima espressione di quanto detto. Qual è il vostro segreto?
“Con Davide ci troviamo a meraviglia. Avevamo già giocato insieme a Torino l’anno in cui centrammo la promozione ed anche lì bastò veramente pochissimo tempo per entrare subito in sintonia. Sia per lui che per me questo è un grande vantaggio perché sappiamo già, senza bisogno di troppe parole, quello che dobbiamo fare quando siamo in campo. E questa nostra sintonia rappresenta un valore aggiunto. Sono convinto che anche la società ne abbia tenuto conto in fase di costruzione della squadra perché ripartire da un qualcosa di consolidato, che lo scorso stava producendo grandi frutti e che avevamo dovuto lasciare a malincuore, è stata una scelta giusta così come quella nostra di continuare insieme a Forlì“.
Ad oggi avete un percorso netto di vittorie. Giocare in tempo di pandemia con i palazzetti chiusi quanto cambia per voi a carattere generale e poi quanto cambia tra giocare in casa o in trasferta?
“Purtroppo ci stiamo abituando a giocare in queste condizioni anche se non è facile. Manca il pubblico, ma manca anche il bello di fare la trasferta dove prendi gli insulti che fanno parte di tutto il contorno per il quale facciamo quello che amiamo fare. Non avere i tifosi sui gradoni è veramente triste, ma sappiamo che oggi questa è la cosa giusta. Per quanto riguarda il giocare in casa o in trasferta cambia davvero poco se non per una questione logistica di dover affrontare un viaggio per andare a giocare piuttosto che farlo a due passi da casa“.
Le squadre più accreditate per la vittoria del girone le avete incontrate tutte. Qual è secondo te la squadra da battere e che idea ti sei fatto per il prosieguo della stagione?
“Sicuramente Napoli mi ha fatto una bella impressione, li avevo già visti giocare nelle altre partite ed anche loro sono in un percorso di crescita che costantemente salirà e sarà veramente dura affrontarli tra qualche mese. E’ una squadra completamente nuova che ha quindi bisogno di un po’ di tempo per lavorare e assimilare i meccanismi. Poi c’è Scafati che vedo un gradino sotto e invece chi mi piace particolarmente è Ferrara che negli ultimi anni ha mantenuto questa ossatura degli italiani molto importante e molto affiatata che gioca insieme a meraviglia ed ha inserito due stranierei di assoluto livello che conoscono benissimo la realtà italiana. Per questo vedo Ferrara come una squadra molto tosta, che gioca una pallacanestro dura, molto aggressiva e molto fisica e di conseguenza la colloco in prima fascia“.
Giachetti e Forlì. Cosa ti piace della città e cosa invece, potendo, vorresti fosse migliorato?
“Forlì a livello di città è molto carina e non c’è niente da dire. La cosa speciale di questo posto è la gente perché Forlì è una città che vive veramente di basket e per noi che facciamo questo sport giocare qua è qualcosa di davvero speciale. Questo è quello che avrei voluto far vedere ai miei nuovi compagni quando sono arrivati a Forlì e che ho cercato di far loro capire. Sentire ogni giorno la passione della gente, il loro sostegno, la loro voglia di esserti vicino è speciale e ti permette di andare in palestra e di allenarti ogni giorno con grandi motivazioni e dare quel qualcosa in più di quello che hai dentro perché, dal bambino all’anziano, qui tutti parlano di basket e tutti hanno quel desiderio di stare attorno alla squadra. Io ho avuto la fortuna di giocare in diverse piazze importanti, ma devo dire che come qua a Forlì è difficile trovarne e posso garantirti che tutti noi aspettiamo, soprattutto i nuovi aspettano, di avere questo contatto con l’Unieuro Arena strapiena davanti ai nostri tifosi. Per me, che so cosa significhi, è qualcosa di spettacolare. L’ho sempre detto e ogni volta lo ripeto: Forlì merita un’altra categoria, per la città, per il pubblico e per la serietà della società. Ora Pasquali mi “ucciderà” (ride) perché vuole che si resti a fari spenti e che non si creino grandi aspettative, ma questo è il bello delle città passionali ed è anche il valore aggiunto di Forlì e per noi giocarvi è un privilegio, per me – che ne sono il capitano – ancor di più“.
Giachetti e il pubblico. Per uno che prima dell’approdo sotto San Mercuriale aveva giocato a Ravenna non deve essere stato subito facile farsi amare dal pubblico di Forlì. Oggi, invece, sei certamente uno dei beniamini. Com’è il tuo legame con i tifosi forlivesi?
“Il legame è splendido perché come dicevo prima ti fanno sentire un grande calore, ti fanno sentire speciale e questo vuol dire che riconoscono tutti gli sforzi che vengono fatti quotidianamente che non si limitano alla sola partita. Tutto questo è un qualcosa di bello e ho sempre detto, durante tutta la mia permanenza a Forlì, che vorrei finire questo percorso con qualcosa di speciale per loro, che sappiamo tutti qual è. Il mio unico obiettivo da quando sono arrivato qui è quello. Da quando sono entrato in empatia coi tifosi, praticamente da subito, il mio desiderio è diventato quello di regalare a questa città, che ci sta dando tanto e mi sta dando tanto, quel qualcosa di speciale che ritengo essere il minimo che si possa fare“.
Che tipo di persona è Jacopo Giachetti fuori dal contesto basket?
“Mah… una persona tranquilla. In realtà non c’è un vero e proprio Giachetti fuori dal contesto basket perché vivo di basket tutto il giorno fin da quando ero piccolo e quello che mi spaventa di più andando avanti con l’età è cercare di capire cosa fare da grande. Appena possibile mi piace guardare partite di ogni genere, non l’NBA che non amo particolarmente, ma dall’Eurolega in giù, sino alle partite del CSI, mi piace guardare la pallacanestro in generale. Per questo credo che rimarrò in questo mondo che è sempre stata la mia passione da piccolo, che mi rappresenta e che non mi stancherà mai“.
Hai già pensato a cosa farai il giorno in cui deciderai di appendere le scarpette al chiodo?
“Ancora non ho deciso anche se come dicevo poco fa mi piacerebbe rimanere in questo mondo che considero il mio habitat naturale e quindi vedrò. Ho avuto la fortuna di aver giocato diversi anni in Nazionale, di aver collezionato oltre 500 presenze in Serie A e quindi l’eventuale fase dell’allenatore può risultarmi più semplice rispetto a chi inizia da zero. Sto studiando anche per questo, però non ho ancora deciso se mi piace più la parte di campo o un ruolo dirigenziale che anche quello mi affascina. Devo capire nel caso di questa seconda eventualità quanto possa mancarmi eventualmente il campo prima di prendere qualsiasi decisione. Sono ancora un po’ confuso ma quello di cui sono certo è che mi piacerebbe restare in questo mondo“.
Con l’auspicio di poter presto tornare sui gradoni dell’Unieuro Arena ti faccio un grosso in bocca al lupo per il prosieguo della stagione.
“Speriamo di riavere quanto prima tutti i nostri tifosi e crepi il lupo“.
Foto copertina di Massimo Nazzaro – dal profilo ufficiale Facebook della Pallacanestro Forlì 2.015
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