In questi anni abbiamo raccontato i successi della Juventus facendolo a volte con un’eccessiva superficialità come se il fattore vittoria fosse di fatto scontato e quasi asfittico.
Abbiamo commentato le vittorie, così come le sconfitte, rifacendoci spesso alla qualità del gioco espresso, additando in molti l’incapacità di Allegri di dare una mentalità vincente ed offensiva ad un gruppo che, al netto di due finali di Champions perse, ma comunque conquistate, ha regalato alla tifoseria soltanto successi.
Troppo spesso abbiamo dimenticato che il calcio è un gioco di squadra, è fatto da un’equipe che si forgia alla base, dalla dirigenza, sino all’ultimo dei magazzinieri. E troppo spesso abbiamo ricondotto il tutto ad una “faida” tra “allegriani” e “sarristi” o addirittura a colpe mirate solo all’uno, piuttosto che all’altro allenatore.
In realtà tutto questo è un po’ riduttivo. Maurizio Sarri non può non essere sul banco degli imputati, ci è spesso stato Max Allegri dall’alto dei suoi trionfi, figuriamoci se non può esserci Sarri. Vero è, però, che non tutte le colpe possono o devono essere ricondotte a lui.
In campo vanno i giocatori e in questo mesi di lavoro col mister napoletano, in pochissime circostanze hanno evidenziato la sua idea di calcio. Che Sarri non sia riuscito ad entrare nel cuore e nella testa dello spogliatoio è evidente ma che i giocatori debbano essere considerati delle “verginelle” esenti da responsabilità è altrettanto ingiusto.
Analizzando il prodotto calcio Juventus, alla luce di quanto emerso nelle due sfide a Milan e Napoli, (il Covid19 non può essere una scusa perché ha colpito tutti) mi sembra evidente ci siano gravissime difficoltà nell’esprimere un gioco, nel mettere in pratica un’idea (che non posso dubitare non esista), quella di Maurizio Sarri, che non era certamente un giro palla lento, orizzontale e a ritroso. Manca un centravanti che riempia l’area di rigore, nessuno attacca la profondità e i continui cross dalla trequarti esprimono più disperazione che idea di gioco.
Ci sono problemi che nascono a monte, dal giorno in cui si volle il cambio di un allenatore vincente ma alla fine di un ciclo, puntando su un allenatore che non era Sarri. Ci sono poi i problemi strutturali di una rosa lunga ma male assortita e ci sono i malumori all’interno di uno spogliatoio che non è più quella roccaforte garanzia di trionfi.
Il mister sembra non avere in pugno la situazione, non solo perché apparentemente i giocatori non lo seguono, ma perché sono totalmente privi di furore agonistico e di motivazioni che sono la base per costruire i successi. I giocatori in campo camminano e le facce riprese dalle telecamere esprimono dubbi e insicurezze.
Bernardeschi è vittima di un’involuzione drammatica, Pjanic (discorso Barcellona a parte) sono mesi che offre un rendimento troppo basso per pensare in grande, per non parlare di Danilo la cui faccia prima di calciare il rigore in curva aveva già sentenziato il risultato.
Tanti, troppi i problemi presenti in rosa, per ridurre le responsabilità solo sull’allenatore, comunque incapace di gestirli. Il Presidente Andrea Agnelli sono certo non avrà gradito, CR7 è riuscito nel poco edificante record, che ancora gli mancava, di perdere due finali su due consecutivamente.
Ma a preoccupare è l’atteggiamento, l’abulia e, si vocifera, il clima non proprio idilliaco all’interno dello spogliatoio. Ci sarebbe da vincere un campionato e tentare, nella Lisbona di Cristiano Ronaldo, l’assalto alla Coppa dalle grandi orecchie.
Quando scrivevo di una Coppa Italia da vincere, non tanto per il valore del trofeo in sé, ma perché alla fine della stagione certe sconfitte avranno un peso, magari non solo per Sarri, un motivo c’era. E il malumore di queste ore è ridondante anche da un ambiente caratterizzato sempre dal riserbo più assoluto.
Ad oggi Juventus senza idee, senza gioco e un allenatore nel pallone più di quanto non ci abbia raccontato Lino Banfi (lui sì che era divertente) nel suo film del 1984.