Pubblicità

L’ingiustizia e il silenzio

Ve lo avevo promesso ed eccomi qua. Perché c’è un qualcosa di cui spesso trascuriamo l’impatto, l’importanza e gli effetti che provoca nella passione dei tifosi: il silenzio che, come spesso si dice, vale come un assenso. Sì perché è una regola giuridica che te la insegnano sin da ragazzini.

E allora, cosa c’è di più doloroso di una condanna ingiusta? Il silenzio di chi dovrebbe difenderti. È il sentimento che oggi attraversa molti tifosi juventini, costretti a osservare inermi l’ennesima pagina amara della giustizia sportiva italiana. Simone Inzaghi e Hakan Çalhanoğlu patteggiano per la violazione dell’articolo 4 del Codice di Giustizia Sportiva – quello che parla di lealtà – e se la cavano con una multa e una giornata di squalifica che sa molto di presa in giro. Nessun clamore, nessuna indignazione, nessuna caccia alle streghe.

Solo due anni fa, la Juventus veniva devastata da una campagna giudiziaria senza precedenti (farsopoli a parte), partita proprio da quel medesimo articolo 4. Un’accusa grave, usata come chiave per giustificare sanzioni spropositate e per dare un volto “esemplare” alla repressione morale del sistema calcio. E le plusvalenze? Ah sì, anche quelle un’altra pagina vergognosa della nostra giustizia sportiva. E a guidare quell’ondata fu Giuseppe Chiné, lo stesso che oggi liquida il caso Inzaghi-Çalhanoğlu senza far rumore.

Questa non è solo una disparità. È una ferita aperta. Ancora più dolorosa se, in aggiunta, ricordiamo le parole del ministero dello sport Abodi che chiedeva l’intervento delle istituzioni per chi violava quell’articolo. E la Juventus? Tace. Non un comunicato, non una presa di posizione, nemmeno un sussurro. E il silenzio pesa. Pesa su una tifoseria che ha visto il proprio club diventare il capro espiatorio perfetto. Che ha visto la propria storia infangata, i propri dirigenti criminalizzati, i propri successi ridimensionati.

Oggi quegli stessi tifosi si chiedono: cosa fa la Juventus? Quale strategia è quella della Juventus? Perché tace chi dovrebbe far sentire la voce del club più vincente d’Italia? Il silenzio può essere strategia. Ma può anche diventare resa. E il rischio è che, a forza di ingoiare ingiustizie in nome della diplomazia, si smarrisca non solo la forza di lottare, ma anche il senso di appartenenza. Perché una squadra, un’istituzione, una maglia, sono fatte anche di parole. E se quelle parole non arrivano, chi ama quella maglia finisce per sentirsi solo.

In un calcio dove le regole sembrano applicate a geometria variabile, dove le sentenze si dosano in base al colore della casacca, restare in silenzio non è neutralità. È complicità. Ma soprattutto in un calcio dove in tutte le posizioni apicali delle istituzioni, e persino al governo capeggiano portatori di sciarpe e non garanti della lealtà e della parità di trattamento, il sentimento del complottismo avanza imperterrito nel silenzio di chi dovrebbe parlare ed opporsi. E se taci inevitabilmente alimenti dubbi.

E questa complicità, per molti juventini, è la vera sconfitta.

4,8 / 5
Grazie per aver votato!
PubblicitàPubblicità

Pubblicato da Luca Gramellini

Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Bologna da sempre affascinato dal giornalismo sportivo. Scrivere è sempre stata una passione. Essere apprezzati dipende da noi stessi, ma resta un privilegio. Non smettete mai di cullare i vostri sogni. Credeteci sempre e lottate per raggiungerli. Credete in voi stessi. I sogni si avverano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!
Verificato da MonsterInsights