Nicola Ravaglia si racconta

Il calcio, la famiglia, la scuola. Ragazzi non smettete di credere nei vostri sogni

Lo sport è poesia. E lo è ancora di più quando si ha la fortuna di incontrare un professionista che ha coronato il proprio sogno attraverso la caparbietà, la dedizione e il sudore, a volte contro i pronostici dei sapientoni della domenica e a volte dovendosi rialzare dopo una “caduta”. Questo ragazzo d’oro risponde al nome di Nicola Ravaglia, attuale portiere in forza alla U. S. Cremonese, diventata oggi la sua seconda casa. Ma Nicola è soprattutto uno dei prodotti del vivaio bianconero di Cesena, uno di quelli che hanno fatto tutta la gavetta e la trafila nelle giovanili ed oggi può raccontarlo con grande orgoglio e felicità.

Nicola Ravaglia, ora a Cremona, ha fatto 7 anni di settore giovanile a Cesena

Buongiorno Nicola. Diventare un calciatore è sempre stato il tuo sogno o lo è diventato strada facendo?

“Guarda devo essere sincero, sin da bambino avevo un’unica grande passione che era quella di giocare a calcio e più prettamente di stare in porta. Ricordo bene il tempo che ho trascorso al parco, dietro casa, piuttosto che ai giardini o al Centro Sportivo Pianta, dove sono cresciuto calcisticamente, a quello di Roncadello o in parrocchia, insomma ovunque ci fosse una porta da calcio e un campo verde c’ero io che mi tuffavo. Avevo una passione smisurata per il calcio, guardavo sempre le partite in televisione, conoscevo a memoria l’album delle figurine Panini e tutti i portieri perché dentro di me sentivo il fuoco ed avevo la sensazione che quello, alla fine, sarebbe stato il mio lavoro. Al calcio ho dedicato tantissimo tempo e per il calcio ho fatto tantissimi sacrifici”.

Nicola Ravaglia inizia a giocare tra i pali o ha scoperto questa vocazione strada facendo?

“Quando iniziai a muovere i primi passi alla Pianta impiegai ben poco tempo a schierarmi tra i pali perché era un ruolo che sentivo mio e per il fatto che mi piaceva avere un cappellino, un paio di guanti, una maglia e dei pantaloncini diversi da tutti gli altri, con un ruolo diverso da tutti gli altri e che in pochi volevano ricoprire. Da lì cominciò il mio percorso fatto di allenamenti specifici anche perché vedevo che ero portato in quel ruolo e la palla riuscivo spesso a pararla”.

Raccontaci le emozioni che hai provato la prima volta che, da giocatore professionista, dopo aver fatto tutto il percorso nelle giovanili del Cesena, in uscita dagli spogliatoi, ti sei trovato davanti alla Curva Mare del mitico Stadio Dino Manuzzi.

“Beh… (segue un bel sospiro segno che il ricordo muove ancora grandi emozioni) è stato il coronamento di un sogno. Ho fatto per anni il raccattapalle, così come il tifoso dalle gradinate, vivendo la partita dalla curva e quando passi dagli spalti al campo dove sei effettivamente tu uno dei protagonisti per il quale il pubblico tifa e inneggia, capisci di essere arrivato dove 10 anni prima ti eri prefissato ed avevi sognato di arrivare. Ricordo ancora il mio esordio in Serie B che feci a 18 anni quando mister Fabrizio Castori mi chiamò per dirmi che sarei sceso in campo perché il mio compagno di squadra, Alex (così lo chiama Nicola) Sarti aveva avuto un problema nel riscaldamento ed io non ebbi nemmeno il tempo di metabolizzare la cosa e rendermi conto della situazione. Certamente fui emozionato per tutto l’arco dei 90 minuti ma quelle sono emozioni indelebili e l’adrenalina e l’emozione appunto sono talmente forti che ti restano dentro e ancora oggi a distanza di 13 anni da quel bellissimo giorno ricordo tutto come fosse ieri”.

Il saluto di un raccattapalle al suo idolo Nicola Ravaglia. Un tempo fu così anche per il portiere grigiorosso

La tua partita più bella e quella da dimenticare?

“Parto dalla partita più brutta che è stata indubbiamente la 1^ giornata in casa nel campionato di Serie C1 contro la Reggiana finita 1-2, nella quale io tornavo dopo un anno passato in prestito al Poggibonsi e attorno al sottoscritto si erano create delle aspettative. Aspettative che coinvolgevano anche un Cesena appena retrocesso in C1, che ambiva ad un campionato importante. Io feci una partita pressoché orribile e con quella partenza un po’ shock sentii di aver deluso diverse persone che in me avevano riposto tanta fiducia. Di partite belle, e da ricordare, ce ne sono tante però, se devo sceglierne una, per palcoscenico, blasone e tutto il contorno ti dico un Palermo – Cesena di Serie A in cui vincemmo 1-0 grazie ad un gol di Adrian Mutu e dove io fui grande protagonista e premiato come uomo partita Sky”.

Nicola e la famiglia. Nel tuo percorso di crescita che ruolo ha avuto la famiglia per te?

“La famiglia ha ricoperto sicuramente un ruolo fondamentale. Ho la fortuna di avere avuto e di avere due genitori clamorosi che non hanno mai perso l’orizzonte sin da quando ero nel settore giovanile. Quando cominciai a fare bene e si avvicinarono i primi procuratori loro sono sempre rimasti con i piedi ben saldi a terra. Mi hanno sempre insegnato a fare le cose per bene dando la giusta importanza alla scuola e riconoscendo quali fossero le priorità. Da loro ho imparato che quando ti prendi un impegno devi farlo bene e portarlo a termine con grande determinazione. Tutto ciò mi è poi servito nel mio percorso di crescita calcistica. Quello che sono oggi lo devo per il 90% a loro per tutto quello che hanno fatto e mi hanno trasmesso e per il restante 10% lo devo al calcio, per l’impegno e la determinazione che ho sempre cercato di mettere nel perseguire i miei obiettivi. Tra l’altro ci tengo anche a dire che mio padre e mia madre mi sono sempre stati vicino appoggiandomi o spronandomi con le giuste parole a seconda delle situazioni dimostrandosi di essere sempre un passo avanti o un passo dietro a me ma sempre per proteggermi senza mai offuscare quelli che erano i miei sogni”.

Qual è il valore più importante che un ragazzo non deve mai perdere di vista?

“Di valori ce ne sono senza dubbio più di uno. Il primo valore che mi viene in mente, anche alla luce del mondo in cui viviamo oggi, è senza dubbio l’educazione perché vedo, sia nei ragazzi ma anche negli adulti, poca educazione. Il secondo valore è invece l’abnegazione, la voglia, la perseveranza che un ragazzo deve avere se vuole arrivare a raggiungere i propri obiettivi, siano essi nel mondo del lavoro, come nello sport. Onestamente vedo troppi giovani ma anche adulti che alle prime difficoltà tendono a ricercare una zona di confort per trovare una propria stabilità, quindi senza lottare. Ma la vita è fatta di queste esperienze, di questi schiaffi che se sai come affrontare saprai sempre come rialzarti e riuscire in quello che vuoi fare”.

Nicola e la scuola. Che importanza ha avuto quest’ultima nel tuo percorso di calciatore di una società professionistica?

“Per me quelli della scuola, e mi riferisco agli anni delle superiori, sono stati anni difficili e travagliati perché nonostante non sia mai stato bocciato ho sempre riscontrato grandi difficoltà nel vedere assecondate le esigenze di chi, come me, giocava a calcio a livello professionistico. La scuola è senza dubbio importante perché ti dà un bagaglio di competenze che ti tornano utili nel quotidiano, perché se nella vita non sei competente fai fatica a rapportarti con gli altri. Però il sistema scolastico deve cercare di assecondare le esigenze di chi svolge un’attività sportiva a livello professionistico, cosa che invece ho raramente riscontrato trovando spesso le porte chiuse. All’epoca avevo i pomeriggi sempre pieni e quindi non potevo fare certe attività scolastiche, non potevo partecipare alle gite e non potevo svolgere dei corsi specifici. Questo la scuola me lo ha sempre fatto pesare. In virtù di questa mia esperienza, se posso dire la mia, che non vuole essere un consiglio, ma semplicemente la mia visione, la scuola dovrebbe operare come negli Stati Uniti dove i ragazzi nei College possono svolgere parallelamente attività agonistica e scolastica. Fare sport fa bene e se poi hai la fortuna di farne anche il tuo lavoro puoi ritenerti davvero un privilegiato. Poi devi essere bravo a sfruttare le competenze che la scuola ti ha dato anche solo per gestire i tuoi guadagni o i rapporti interpersonali”.

Nel mondo del calcio sei riuscito a coltivare amicizie vere?

“Questo è il lato un po’ triste del mondo del pallone nel senso che quando sei dentro a determinate situazioni, dove per altro girano tanti soldi, le amicizie non sono mai così veritiere. Il calcio purtroppo è anche questo. Io avrò conosciuto nella mia carriera circa 300 calciatori ma le amicizie vere si contano sulle dita di una mano. Questo mi dispiace ma il nostro è un mondo un po’ particolare, poco sincero e schivo dove anche tu devi essere camaleontico e capire chi hai di fronte e saperti muovere dentro questo contesto”.

Nicola Ravaglia in vacanza con alcuni amici, quelli veri, quelli di sempre

Hai mai pensato di mollare tutto in virtù dei tanti sacrifici che avrai dovuto sostenere anche alla luce di quello che potevano fare i tuoi amici d’infanzia?

“Devo dirti che in età adolescenziale non mi è mai pesato il dover rinunciare alla discoteca o altri divertimenti simili perché ero talmente preso da quello che avrei voluto fare e dove sarei voluto arrivare che vedere i miei compagni uscire e quant’altro non mi pesava più di tanto. Pensa che sin da quando ero piccolo, per una dozzina d’anni, il giorno del mio compleanno chiedevo a tutti di regalarmi un paio di guanti e non mi importava se nonni e cugini mi regalavano tutti dei guanti. Quello era ciò che più volevo. I sacrifici per me erano la scuola, i viaggi, gli allenamenti duri ma non altre cose. Però ho sicuramente vissuto un momento travagliato l’anno in cui giocai a Vicenza e volevo smettere perché l’ambiente calcio mi aveva stufato proprio per quella serie di cose di cui ho detto prima. In quel momento lì avevo voglia di tornare a casa e chiamai mio padre perché volevo fare le valige. Ero stanco di stare in un ambiente che di valori ne coltiva pochi, in cui non c’era meritocrazia ed ero stanco di girare l’Italia a prendere pesci in faccia per poi non esser nemmeno così stimato. Quello fu un bivio, da lì trovai la forza di rialzarmi e partii con un percorso di mental coaching. Da quel momento iniziai a fare un po’ di pulizia sia a livello mentale che proprio a livello organico ripartendo alla grande e oggi sono ancora qua”.

Nicola Ravaglia a Vicenza nella stagione 2013/14 – foto ilcosenza.it

Quali differenze riscontri tra il calcio attuale e quello degli anni in cui cominciasti?

“Sicuramente oggi è un calcio più povero un po’ in tutti i sensi. Più povero economicamente, più povero di spirito, più povero di insegnamenti. Secondo me in Italia siamo indietro rispetto alla velocità con cui tutti gli altri stati crescono. Noi viviamo di rendita per gli anni in cui il campionato italiano è stato il più bello del mondo ed in cui giocavano i giocatori più forti del mondo. Però dobbiamo darci una svegliata a partire dal sistema, facendolo diventare un sistema meritocratico, altrimenti il calcio italiano sarà destinato a vivacchiare e non a primeggiare”.

Che cosa sogna di fare Nicola Ravaglia da grande?

“Guarda ogni tanto ci penso e sicuramente quello che mi appresto ad iniziare è il tredicesimo anno da professionista e quando smetterò mi piacerebbe lasciare il mio bagaglio di esperienza e di conoscenza a qualcun altro, ad un piccolo Nicola Ravaglia jr. Mi piacerebbe allenare, allenare i portieri, fare il preparatore e comunque rimanere in campo perché penso che il campo ce l’avrò nel sangue per sempre. Quando si è giovani bisogna captare ed essere delle spugne e prendere su tutti gli insegnamenti, poi quando si cresce e si diventa adulti bisogna donare e quindi quello che ho in mente è lasciare ad altri tutto quello che ho imparato da giovane”.

Che cosa ha significato per te il Cesena calcio?

“Cesena per me è stata come una seconda famiglia, una seconda pelle. A Cesena oltre ad aver fatto 7 anni di settore giovanile ho fatto anche 4 anni di prima squadra, uno di Serie C, due di Serie B e uno di Serie A. E a Cesena ho vinto un campionato. Quella società ha significato tantissimo per me. Lo scorso anno quando tornai con la Cremonese e ricevetti l’applauso di tutto lo stadio fu importantissimo e qualcosa che mi rimarrà dentro. Anche perché nel 2013 quando me ne andai da Cesena lo feci passando dalla porta posteriore come si suol dire. Non me ne andai nel miglior dei modi perché ci salvammo soltanto a due giornate dalla fine ed io non feci delle prestazioni esaltanti. Questa cosa non mi è mai andata giù perché avrei voluto lasciare un altro ricordo, ma come in tutte le belle storie, prima o poi tornerò a Cesena per finire dove tutto incominciò”.

Nicola Ravaglia debutta a 18 anni in Serie B con la maglia del Cesena – foto romagnauno.it

Nicola Ravaglia se non avesse fatto il calciatore professionista che cosa avrebbe fatto?

“Questa è una domanda che mi fanno tutti ma a cui onestamente non so dare risposta. Mi ricollego a quanto detto in princìpio e ti dico che sono sempre stato focalizzato sul mio obiettivo di diventare un calciatore professionista. Sono sicuramente stato fortunato ma sono sempre stato focalizzato e concentrato su quello che non saprei dirti cos’altro avrei fatto. Mi sono diplomato a Geometri ma scelsi quella scuola perché mio padre è geometra e ho seguito quel filone. Potrei dirti che avrei fatto anch’io il geometra o forse l’astronauta piuttosto che l’attore (e ride) ma a parte gli scherzi davvero non so cosa avrebbe fatto Nicola Ravaglia se non avesse avuto la fortuna di arrivare nel calcio”.

Tra le tue tante esperienze in giro per l’Italia, qual è quella che ti ha deluso di più, se ce n’è una, e quale quella che ti ha arricchito maggiormente?

“Mah.. la stagione che mi ha deluso di più è quella di cui ti ho detto detto prima. L’anno di Vicenza avevamo uno squadrone, dovevamo vincere il campionato e invece perdemmo la semifinale playoff. Fu un’annata dove eravamo sempre contestati, non eravamo mai liberi, costretti a stare sempre in casa e a non dover mai uscire. Fu una stagione difficile e lo dico con rammarico perché Vicenza è una piazza storica che trasuda calcio e vive per il calcio sette giorni su sette. Per questo a livello sportivo non posso ricordarla positivamente anche se da ogni esperienza acquisisci comunque un bagaglio importante per la tua crescita. Per quanto riguarda invece la stagione che mi ha dato maggiori soddisfazioni, sicuramente quella della promozione con la Cremonese perché, oltre ad aver fatto grandi prestazioni sul campo e quindi aver dato il mio contributo alla squadra, mi sono sentito adottato dalla città di Cremona dove mi appresto ad iniziare il mio quinto campionato. Oggi reputo Cremona, a tutti gli effetti, la mia seconda casa. Sono in una società ambiziosa che ambisce al ritorno in Serie A e per tutti questi motivi la considero sicuramente l’esperienza più bella”.

Nicola Ravaglia si appresta ad iniziare la sua 5^ stagione con la Cremonese

Che cosa pensi dell’attuale Cesena FC ripartito senza grandi mezzi economici ma con grande voglia di fare bene?

“Io penso che quando ci sono la voglia di fare bene, la determinazione ed i giusti valori i soldi vengano poi di conseguenza. Al Cesena di oggi faccio il mio più grande in bocca al lupo e spero di rivederlo presto in palcoscenici più consoni che non sono certo quelli della Lega Pro. La piazza merita di tornare in alto e il fatto che la società sia ripartita in modo serio, candida e senza debiti a me non può far altro che piacere perché è la base per programmare serenamente il futuro. La Romagna ha bisogno di un palcoscenico come Cesena là dove Cesena merita di stare”.

Chissà se un giorno Ravaglia tornerà a vestire la maglia del Cesena – foto ilgiornaledivicenza.it

Siamo in chiusura e allora voglio chiedere, a te che hai coronato il tuo sogno, che consiglio daresti a un ragazzo del settore giovanile?

“Il consiglio che posso dare a tutti i ragazzi di qualsiasi settore giovanile è che siccome quello che hanno intrapreso è un percorso difficile, per il numero di ragazzi che partono in rapporto a coloro che riescono ad arrivare, siccome è un percorso difficile per le persone che incontreranno lungo il cammino, non tutte disposte a fare i loro interessi o ad ascoltarli nelle difficoltà, non devono mai mollare ma devono credere fortissimamente in loro stessi senza badare a quello che la gente dice da fuori perché devono sapere che quello che dicevano del sottoscritto durante tutto il percorso di avvicinamento, alla Primavera prima e alla prima squadra poi, era che al termine di ogni anno sarei stato tagliato perché non avevo i mezzi per sfondare. Invece ho scalato la montagna e dimostrato a chi non credeva nelle mie possibilità che se tieni duro, lavori con impegno e determinazione i tuoi sogni puoi coltivarli fino in fondo. Ho già fatto 13 anni tra i professionisti, ho fatto la C e la gente riteneva che non potessi fare di più. Ho fatto la Serie B e le persone dicevano che non avrei mai potuto fare della Serie A e invece sono arrivato anche lì. Tutto questo perché ho sempre lavorato duro ma soprattutto ho sempre creduto in me stesso e dato poca importanza alle chiacchiere che giungevano dall’esterno. Non è facile, lo so perfettamente, ma ai ragazzi voglio dire di credere in loro stessi, lavorare duro ed isolarsi quanto più possibile dal mondo esterno perché è un contorno cattivo, invidioso, geloso e maligno. Proteggetevi nella vostra famiglia e coltivate i vostri sogni, sognate dalla mattina alla sera, perché sognare è bello e se sogni forte i sogni si avverano”.

Nicola è stato un piacere ed un onore poterti avere mio ospite per questa intervista che non ti nego mi abbia regalato una grande emozione e un po’ di pelle d’oca. Con questo chiudo e ti faccio il mio più grosso in bocca al lupo per il proseguo della tua carriera con la speranza di rivederti un giorno difendere i pali della porta del Cesena FC.

“Crepi il lupo! Grazie a te per il tuo tempo e un grosso in bocca al lupo lo rivolgo io a tutti i giovani del Cesena, della Cremonese e di qualsiasi altra realtà sportiva affinché possano realizzare i propri sogni”.

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Pubblicato da Luca Gramellini

Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Bologna da sempre affascinato dal giornalismo sportivo. Scrivere è sempre stata una passione. Essere apprezzati dipende da noi stessi, ma resta un privilegio. Non smettete mai di cullare i vostri sogni. Credeteci sempre e lottate per raggiungerli. Credete in voi stessi. I sogni si avverano.

2 Risposte a “Nicola Ravaglia si racconta”

  1. Un’intervista che dovrebbe essere letta soprattutto dai (nostri) ragazzi che ogni settimana sudano a Martorano.

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