Intervista esclusiva a Fabrizio Ravanelli

E’ il 22 maggio 1996, minuto 13′ della finale di Champions League tra Juventus e Ajax. Fabrizio Ravanelli crede in una leggerezza difensiva dei lanceri, intercetta il pallone, si allarga saltando il portiere Van der Sar e da posizione difficilissima, di destro, insacca il gol del vantaggio. Pareggerà il solito Litmanen, ma la lotteria dei rigori regalerà la vittoria della Champions alla Juventus di Marcello Lippi.

Mamma siamo Campioni d’Europa!!! Vado in Piazza Saffi a festeggiare la vittoria della Juventus con i miei amici“. Così urlai al termine di una serata indimenticabile, ricca di emozioni incredibili che ho avuto il piacere di rivivere con uno degli eroi assoluti di quella Juventus Campione d’Europa. A Fabrizio Ravanelli va il mio doveroso e sentito ringraziamento. Per me è un po’ come aver vinto una seconda volta.

Fabrizio Ravanelli buongiorno. Dopo aver lasciato il calcio giocato è stato allenatore e commentatore televisivo. Di cosa si occupa oggi nella vita di tutti i giorni?

Buongiorno, mah in realtà mi occupo sempre di calcio perché ho firmato un contratto sia con la televisione francese Téléfoot a Parigi, dove seguo tutto il campionato francese di Ligue 1 più la Champions League il martedì e il mercoledì, e allo stesso tempo ho un contratto con Juventus come Ambasciatore e commento i post partita di campionato della Juve“.

Partiamo dal Ravanelli bambino. Come nasce la sua passione per il calcio? Ci racconta un po’ della sua trafila nel settore giovanile del Perugia sino all’esordio in prima squadra?

La passione per il calcio nacque perché vivevo in una famiglia dove il papà era un grandissimo appassionato di calcio ed aveva, insieme a mia madre, l’abbonamento al Perugia. Poi quando siamo nati mio fratello ed io abbiamo sempre avuto quattro abbonamenti. Erano gli anni ’70, quelli del grande Perugia. Io sono del ’68 e mio fratello del ’65 e ricordo che andavamo sempre allo stadio con la 500 del mio papà a vedere quel Perugia dei record, quello che non perse mai e lottò fino all’ultima giornata con il Milan per la conquista dello scudetto. Ecco la mia passione per il calcio nasce da lì, da quella grande passione che mi ha trasmesso il mio papà per cui avevo solo il pallone come obiettivo. La mamma mi racconta ancora oggi che dormivo sulla culla con la palla e come avevo la possibilità giocavo a calcio. Poi iniziai a giocare a pallone nella squadra del mio paese e a 12 anni ebbi la possibilità di fare un provino nel Perugia, fui preso e da lì ho fatto tutta la trafila del settore giovanile. A 15 anni e mezzo con Agroppi feci diversi allenamenti con la prima squadra, poi a 16 anni e mezzo sono andato in ritiro con la prima squadra allenata da Giacomini che militava in Serie B e firmai il mio primo contratto col Perugia in C2 e da lì ho fatto tutta la trafila: C2, C1, passai in Serie B ad Avellino, per poi tornare in B prima e in A poi sempre col Perugia. Sono forse il secondo giocatore in Italia che ha fatto tutte le categorie professionistiche in una società insieme Rubino nel Novara“.

Prima con il Perugia e poi con la Reggiana lei si prese le luci della ribalta destando le attenzioni della Juventus. Può raccontarci come nacquero i contatti e la sua avventura in bianconero?

Innanzitutto devo ringraziare Pippo Marchioro e il Direttore Sportivo Corni che hanno sempre creduto nelle mie qualità e nella possibilità di fare bene in quella Reggiana del post Silenzi. Ho avuto la fortuna di esordire contro il Verona di Fascetti, che fu poi promosso in Serie A, facendo una tripletta e da lì in pratica è nata una grande attenzione nei miei confronti da parte della Juventus, ma allo stesso tempo anche da parte del Milan. Facemmo diverse amichevoli fra cui una col Milan di Sacchi dove feci una grande partita e realizzai un gol. Dopo un anno e mezzo di Reggiana il Direttore mi chiamò e mi mise davanti i due contratti della Juventus e del Milan ed io gli dissi che sarei andato alla Juve. Nel frattempo la stessa Juventus mi chiamò. Boniperti in estate contattò mio papà che pensò fosse uno scherzo, invece era per conoscere la mia famiglia e così fummo convocati a Torino nel suo ufficio dove ci fece firmare subito il contratto per cinque anni con la Juventus. Credo che quello fu il momento più bello della mia vita insieme al gol realizzato nella finale di Champions League“.

Lei approdò alla Juventus nella stagione 1992/93 quando alla guida tecnica c’era Giovanni Trapattoni. L’inizio non fu semplice, quali furono le sue emozioni e che tipo di allenatore era il Trap?

Non fu semplice perché passavo da una Serie B a una Serie A, però feci comunque 25 presenze che sono tante per un ragazzo che veniva dalla serie cadetta e riuscii ad ambientarmi subito nonostante un’emozione grandissima, perché vedere Baggio, Vialli, Julio Cesar, o magari Kholer, David Platt, Moeller che fino all’anno prima li vedevi solo in televisione giocare Coppe Uefa, Coppe Campioni e Campionato e ritrovarteli nello spogliatoio lì al fianco, non poteva che essere una grande emozione. I ricordi sono fantastici se pensa che ho avuto la fortuna di approdare nella squadra per la quale ho sempre tifato da bambino. Giocare nella Juventus fu un sogno doppio che si avverava e l’ho vissuto al 100%. Ho avuto grandi soddisfazioni ed anche la fortuna di arrivare alla Juventus con un allenatore come Trapattoni ed un Presidente come Boniperti, due persone che sono sempre state al mio fianco e hanno sempre creduto nelle mie qualità, basti pensare che arrivai alla Juve che avevo 5 o 6 attaccanti davanti a me, ma loro hanno creduto sempre nelle mie possibilità tanto che un giorno sono arrivato ad essere il primo attaccante della Juventus. Questa è stata una grande cosa per me e credo che Trapattoni sia stato e sia ancora oggi un grande uomo, oltreché un grande allenatore. Per molti giovani è stato un secondo papà, lo è stato per me, ma lo è stato per Di Livio, per Torricelli, per tutti quei ragazzi che avevano voglia di arrivare, penso a Del Piero, e per questo lo ricorderemo e lo ricorderò sempre con grande affetto“.

La stagione 1994/95, la sua terza in bianconero, vide l’arrivo sulla panchina della Juventus di Marcello Lippi. Che cosa ha rappresentato per lei il Mister viareggino?

Ha rappresentato l’apoteosi, ha rappresentato il periodo nel quale io sono esploso e dove ho avuto la possibilità di giocare con grande continuità facendo 34 gol stagionali, vincendo lo scudetto, divenendo capocannoniere della squadra. Quello fu un anno memorabile, fantastico. Credo che Lippi abbia rappresentato il raggiungimento del mio sogno totale perché mi ha permesso di diventare uno degli attaccanti più forti d’Italia in quel momento“.

Il tridente Vialli, Del Piero e Ravanelli ha rappresentato una svolta, ma soprattutto è a tutt’oggi un’icona di quella Juventus targata Lippi. Che cosa aveva di speciale quell’attacco?

Aveva tutto, aveva qualità e quantità, ma soprattutto aveva senso di sacrificio, senso tattico e grande senso di appartenenza ai colori bianconeri e alla squadra. E’ stato un tridente che non ha mai anteposto i successi personali a quelli del gruppo e questo vuol dire che eravamo sempre pronti a sacrificarci per il bene della squadra divenendo seriamente il primo difensore della porta di Peruzzi e Rampulla. Proprio per queste caratteristiche credo che ancora oggi sia il tridente più forte della storia della Juventus anche perché quello che abbiamo fatto noi in Campionato e in Champions League credo non lo abbia fatto nessuno nella storia bianconera. Credo che non sia solo una mia idea, ma siano i fatti che dimostrano che quel tridente ha fatto qualcosa di inimitabile“.

Torricelli, Pessotto, Conte, Di Livio, Ravanelli, Padovano, lo stesso Lippi, tutta gente che ha conosciuto la “gavetta“. Ragazzi arrivati da lontano, che hanno conquistato tutto col lavoro e il sudore. Fu quello il segreto dei vostri successi?

Non solo quello, ma fu assolutamente uno dei grandi segreti dei nostri successi. Raggiungere dei grandi obiettivi facendo la gavetta ti fa esaltare le tue qualità, ti fa esaltare la tua mente e ti rende invincibile e credo che quella Juventus fosse proprio invincibile a livello mentale e questo forza mentale ha portato quella squadra a raggiungere dei traguardi forse insperati“.

Il 27 settembre 1994 Ravanelli realizzò una cinquina al CSKA Sofia, record per un giocatore bianconero nelle Coppe. Lei era già un attaccante forte, ma che cosa la rese così forte?

Mah… mi rese forte innanzitutto il fatto di giocare in una squadra forte, di avere dei compagni, una società ed un allenatore forte. Questo in primis alla base di tutto, poi va sottolineato il fatto che io abbia sempre creduto nelle mie qualità, che mi sia sempre sacrificato 365 giorni all’anno allenandomi senza fare mai un giorno di vacanza. Pertanto il mio carattere e la mia determinazione mi hanno portato a raggiungere traguardi importanti e senza mai pormi limiti ho raggiunto il massimo che un attaccante può pensare di raggiungere“.

Il 22 maggio 1996 è una data indelebile per lei ma anche per tutto il popolo bianconero. Ci racconta un aneddoto che le è rimasto impresso nella settimana di preparazione a quella finale?

L’aneddoto che racconto sempre è il fatto che quando eravamo alla Borghesiana, alla vigilia della partita, chiesi a Gianluca Vialli se lui fosse tranquillo, se riposasse bene durante la notte o se dormisse e lui mi rispose che non dormiva da tanto tempo e allora gli confidai che eravamo in due perché anch’io non riuscivo a riposare per la tensione, per la determinazione che sentivo dentro e per la carica di quella partita. Lì, in quel momento, capii che forse la nostra squadra avrebbe vinto perché tutti i giocatori erano pronti a dare la vita per quella finale e per quella vittoria. Poi vincere ed essere protagonista facendo un gol credo di poter dire che sia l’apoteosi per un attaccante, tanto che ancora oggi fatico a rendermi conto di quello che sono riuscito a fare. Quindi essere protagonista con un gol su azione, in una finale di Champions League con la Juventus che ne ha vinte soltanto due, ma possiamo dire che ne ha vinta una, perché come diceva l’Avvocato Gianni Agnelli quella Coppa vinta col Liverpool non se la sentiva sua per quella serie di cose che sappiamo tutti, credo che ancora oggi possa essere un motivo di grande orgoglio per me e per tutti i miei compagni“.

Chi ha giocato nella Juventus racconta di un’aria diversa, ma speciale rispetto a tutte le altre società. Lì si impara in fretta il culto della vittoria, si acquisisce il DNA vincente. Lei che arrivò dalla provincia cosa può dirci in proposito?

E’ la verità. Quando arrivi alla Juventus capisci come mai questa società vinca tanto. Alla Juventus c’è un’etica sportiva, c’è un’educazione sportiva, c’è cultura del lavoro, ci sono rispetto, educazione e trasparenza e non c’è mai presunzione, ma soprattutto c’è tanta umiltà, quella che è sempre nella bocca del campione. Tutte queste cose hanno sempre fatto sì che nella Juventus si cresca non solo come giocatori dal punto di vista tecnico o fisico, ma si cresca come uomini. Per me la Juventus è stata una seconda famiglia, mi ha insegnato tantissimo e mi insegna tuttora tantissimo perché mi insegna il rispetto da portare quotidianamente alle persone e al tempo stesso mi insegna ad avere tanta determinazione e mi dà tanta forza per raggiungere ogni mio obiettivo e fare ogni mio sacrificio. Paradossalmente mi dà ancora quella carica per vivere ogni mia passione che possa essere il calcio, il tennis o la bicicletta facendomi capire che bisogna dare sempre il 100%“.

Dopo aver conquistato praticamente tutto con la Juventus, nell’estate del 1996 il suo trasferimento al Middlesbrough. Come visse la scelta di lasciare la Vecchia Signora e come fu la sua esperienza in Premier League?

Lasciai la Juventus perché la società, a mia insaputa, mi aveva già venduto. Volendo sarei potuto rimanere e oggi sotto un certo punto di vista potrei dire che sbagliai ad andare via, ma non si torna mai indietro e quindi alla fine probabilmente fu la scelta giusta perché ho vissuto un’esperienza bellissima in Inghilterra. Alla Juventus vengo ancora oggi ricordato come uno degli attaccanti più forti della storia juventina, faccio parte di una delle 50 stelle dello Stadium e quando andai via ho avuto la possibilità di consacrarmi anche all’estero grazie ad una stagione in cui feci 34 gol, facendo il miglior esordio, nella storia del calcio inglese per uno straniero, con una tripletta al Liverpool e quindi ho raggiunto traguardi indescrivibili portando il club, insieme ai miei compagni, grazie ai miei gol, a due finali che in 120 anni di storia il Middlesbrough non aveva mai raggiunto. Per tutto questo credo che fu un’esperienza importante per me, ma anche per tutta la mia famiglia“.

Torniamo all’attualità. Nella Juventus di Pirlo è attuabile il tridente Ronaldo-Morata-Dybala o per caratteristiche dei singoli è una soluzione difficilmente proponibile?

Secondo il mio punto di vista sono tre giocatori che possono coesistere insieme anche se non sarà mai un tridente come quello di cui parlavamo prima, ma sarà un tridente un po’ anomalo. Credo che Morata dal punto di vista della quantità e del sacrificio abbia le capacità di supportarlo, Dybala se si metterà in testa di sacrificarsi come lo ha fatto anche lo scorso anno può supportarlo perché è un giocatore che ha tanta qualità e quantità e Ronaldo dovrà essere il solo giocatore che si risparmia perché sotto porta ha dimostrato nel corso della sua carriera di essere un cecchino incredibile. Mi auguro quindi di vedere la Juventus con questi tre giocatori davanti perché non vedere in campo Dybala, nonostante in questo momento non sia in grande condizione, credo non faccia bene al calcio. Non dimentichiamoci che l’argentino è uno di quelli che hanno grandissime qualità e che l’anno scorso è stato uno dei protagonisti che hanno fatto vincere lo scudetto alla Juventus“.

In un campionato comunque influenzato dal Covid, Fabrizio Ravanelli chi vede favorita per lo scudetto?

Sono sempre quelle 5 o 6 squadre che contenderanno lo scudetto alla Juventus. L’Inter, il Napoli, l’Atalanta, la Lazio, la Roma, il Milan. Sono queste le squadre che lotteranno per vincere lo scudetto“.

Come vede la Juventus in Champions League?

La Juventus deve avere solo la fortuna di recuperare tutti i giocatori perché negli ultimi anni ha sempre avuto la sfortuna di arrivare al match decisivo in non buone condizioni fisiche. Per poter arrivare in fondo alla Champions League ci vuole anche un pizzico di fortuna di avere sempre tutta la rosa a disposizione. In questo momento la Juve è già qualificata, adesso speriamo possa qualificarsi da prima del girone, che c’è ancora la possibilità per questo, e poi speriamo bene“.

In virtù della sua conoscenza della Ligue 1 qual è un giocatore che consiglierebbe alla Juventus?

Il giocatore del campionato francese che consiglierei, ma che forse in questo momento è irraggiungibile, è assolutamente Mbappé perché è uno che sposta veramente gli equilibri. E poi mi piacerebbe rivedere un giocatore italiano, che gioca nel campionato francese, nella Juventus che è Marco Verratti“.

Siamo in conclusione e voglio chiederle, sebbene ci fosse qualche anno di differenza, cos’è stato Diego Armando Maradona per Ravanelli all’epoca in cui giocava?

E’ stato sempre il mio idolo indiscusso. Ho sempre amato, amo e amerò sempre Maradona. Conobbi Maradona alla partita d’addio al calcio di Ciro Ferrara e in quel giorno mi dimostrò tutta la sua grandezza. Ancora oggi ricordo, insieme a mio fratello e a quattro miei amici, che mi vide lontano da 30 metri, io non avevo mai parlato con lui, mi chiamò due volte “Fabrizio, Fabrizio!” mi venne incontro, mi abbracciò e ci mettemmo a parlare tutta la sera con lui che si rese disponibile a fare le foto con i miei amici. Questo per far capire chi era Diego Maradona, come lui non c’è nessuno e non ci sarà mai nessuno. Rimarrà unico perché il suo cuore era buono e non ha mai dimenticato le sue origini e questo gli fa grandissimo onore. Maradona aveva tantissimi pregi, ha avuto anche degli eccessi, ma non voglio entrare nel merito, io giudico l’uomo come bontà d’animo, come giocatore che nella storia calcistica ha fatto cose incredibili. Una persona davvero forte, buona, dal cuore grande e dalla grande umiltà“.

Ravanelli la ringrazio infinitamente per la cortesia e la disponibilità e le faccio un grosso in bocca al lupo per tutti i suoi progetti.

Ci mancherebbe, la ringrazio, crepi il lupo e buon lavoro“.

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Pubblicato da Luca Gramellini

Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Bologna da sempre affascinato dal giornalismo sportivo. Scrivere è sempre stata una passione. Essere apprezzati dipende da noi stessi, ma resta un privilegio. Non smettete mai di cullare i vostri sogni. Credeteci sempre e lottate per raggiungerli. Credete in voi stessi. I sogni si avverano.

2 Risposte a “Intervista esclusiva a Fabrizio Ravanelli”

  1. Buongiorno Luca, stamattina alle 8,21 già letto questa intervista pazzesca a penna binca. Penso di eesere stato il primo. Credo che per te essere riuscito in questo (Ravanelli, Lippi, e tutti gli altri che li hanno preceduti) sia stato per te come vincere la champion’s del giornalismo sportivo. Io ti consiglio, perché queste perle di calcio rimangano indelebili, di accomunarle tutte in un bel libro, trovare un editore e fartelo pubblicare, oltrettutto avresti un ritorno anhe economico. Io ho diversi libri sulla storia della Iuventus, l’ultimo si intitola: 1oo1 storie e curiosità sulla grande juventus. Racconta oltre 1oo anni. Di storia della Juve, vicende fuori e dentro il campo di gioco che sono diventate leggenda. Lo srittore si chiama Claudio moretti, ha realizzato, per la “gazzetta dello sport”, una serie di Dvd sulla vita e le imprese di Marco Pantani,ed è autore del programma televiivo Sfide. Non vedo perché il prossimo libro he comprerò non sia stato sritto da Luca Gtamellini. Mi è molto piaciuto anche il commento che hai fatto giovedi sulla morte di Maradona Io ho rivisto il film di Emir Kusturica, ml ha colpito una frase di El Diez(come chiamavano Maradona in Argentina) durante un dialogo col regista di Sarajevo: pensa che cslciatore sarei stato senza la droga. Antonio Cabrini ha dichiarato che El Pibe De Oro sarebbe ancora vivo se fosse ststo iuventino. Ha suscitato polemiche ma è la verità. Luca, ml togli una curiosità.? Chi era il calzaturificio dove nel giugno. Del 2003 hai incontrato mister Lippi? Forse l’artigiana viareggina? Sono le 15. 20, devo tifare per il Sassuolo. Spero che stasera alle 20 tu possa commentare una bella vittoria. Martedi abbiamo vinto per una papera del portiere. Mentre con la Lazio mi sono proprio imbestialito, avere possesso palla a 30 secondi dalla fine e riuscire a pareggisre è stata una stilettata al cuore. Ciao Luca a stasera(senza soffrire troppo)

    1. Sono senza parole Alcide. Essere apprezzati è un privilegio ma anche un grande onore. Le tue parole, eccessive verso di me, mi riempiono d’orgoglio.
      Grazie infinite.

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