Con il campionato fermo per la pausa delle Nazionali ne ho approfittato per raggiungere telefonicamente un mai dimenticato ex giocatore della Juventus col quale ho avuto il piacere di ripercorrere le sue tappe di avvicinamento alla Vecchia Signora e rivivere ricordi di una carriera di grandissimo spessore nonostante il suo ruolo di “dodicesimo”. Ruolo interpretato benissimo, tanto da essere ricordato come uno dei più forti dodicesimi della storia della Juventus. Chi mi conosce lo sa, sa della mia passione per la Juventus e per gli idoli della mia adolescenza che seguivo con il desiderio di ogni bambino di poterli un giorno incontrare, di poter fare una foto con loro o scambiarsi un saluto. Nel mio cammino, all’inseguimento dei miei sogni, ho avuto l’onore di incontrare, seppur telefonicamente, Michelangelo Rampulla al quale rivolgo il mio più infinito ringraziamento per la cortesia ed il prezioso tempo dedicatomi.
Buongiorno Rampulla, vorrei cominciare col chiederle com’è stata la sua esperienza nel calcio cinese?
“Buongiorno innanzitutto. Per rispondere alla sua domanda posso dire che quella cinese è stata senza dubbio una bellissima esperienza. Conoscere persone con una cultura diversa ed un calcio totalmente diverso mi ha certamente arricchito. Poi a novembre scorso mister Lippi scelse di lasciare perché credo fosse un po’ stanco e sentisse la voglia di rientrare in Italia. Ma è stata certamente un’esperienza positiva”.
Quali sono le grandi differenze tra il calcio asiatico e quello europeo?
“Eh (sorride) ci sono diverse anzi tante differenze, nel senso che il calcio europeo è un calcio molto più competitivo, è un calcio di tradizione, mentre là sono sostanzialmente all’inizio e forse la cosa fondamentale di cui avrebbe bisogno il calcio in oriente per la sua crescita sarebbe il fatto di avere dei confronti diretti col calcio che conta di più. La mancanza di questo tipo di confronti rallenta la sua crescita. Però stiamo vedendo che il livello del calcio coreano, di quello giapponese ed anche australiano è già più avanti di quello cinese, significa che qualcosa si sta muovendo“.
La sua carriera tra i professionisti ebbe inizio a Varese dove arrivò grazie a un giovane Beppe Marotta. Lì esordì in Serie B salvo poi passare al Cesena e successivamente alla Cremonese. Posso chiederle brevemente un ricordo bello, che porta ancora dentro, ed uno meno bello di queste esperienze?
“Mah.. guardi di ricordi belli ne ho tanti, quello più bello penso sia stato il mio esordio a Varese all’età di 18 anni nei professionisti contro il Milan. E’ un ricordo fantastico e indelebile perché fu la mia prima partita contro dei calciatori che fino all’anno prima ammiravo nell’album delle figurine Panini. Per me, in quel momento lì, fu un sogno che si avverava. Il momento più brutto, se così posso dire, lo collego al fatto che in quel periodo ero il portiere titolare della Nazionale Under 21, ma non riuscivo a fare il salto per giocare in Serie A perché mi dicevano sempre, in quegli anni lì, che il portiere per giocare in Serie A doveva avere 25/26 anni mentre io ne avevo 18. Non riuscivo a trovare una squadra che puntasse su di me. Questo più che un brutto ricordo è certamente un rammarico di quei tempi. Di Cesena ho un bellissimo ricordo della gente, dei tifosi, della calorosa accoglienza della Romagna. Lì feci due anni memorabili, soprattutto il primo che fu un calvario, perché partimmo con una squadra molto forte che puntava alla Serie A e ci riducemmo a salvarci all’ultima giornata. Ma ho il ricordo di un’esperienza fantastica. A Cremona ho trascorso sette anni indimenticabili. A parte il primo anno in cui facemmo un campionato anonimo, gli altri furono sei anni bellissimi con due promozioni, due campionati di Serie A e altri due in cui ce la giocammo con le prime e in una circostanza perdemmo agli spareggi per la promozione“.
Se le cito la data di domenica 23 febbraio 1992 che cosa mi risponde?
“Il punto più alto della mia carriera a Cremona con quel gol allo scadere contro l’Atalanta. Fu un’emozione fortissima che mi diede anche tanta notorietà. Fu un gesto che ebbe un impatto mediatico molto importante perché ebbe una grandissima cassa di risonanza, tanto che da quel momento in poi molta gente si accorse che sapevo anche parare“.
Nell’estate 1992 la chiamata della Juventus. Posso chiederle come nacque la sua storia in bianconero?
“Pensi che in quell’anno sarei dovuto andare alla Lazio insieme a Bonomi, Marcolin e Favalli, poi invece non se ne fece nulla. Ero a conoscenza dell’interessamento della Juventus perché sapevo che Trapattoni mi voleva con lui e quando l’allora Direttore Sportivo della Cremonese, Favalli, mi disse della possibilità di andare a Torino accettai immediatamente. Loro mi volevano perché avevo già 30 anni e avrei dovuto fare da riserva a Peruzzi che era un ragazzo giovane, ma promosso titolare. Dal canto mio ero convinto che avrei avuto le mie occasioni ed infatti alla fine giocai tantissime partite“.
Alla Juventus rimase per un decennio sino alla stagione 2001-2002. Quale il momento più bello ed emozionante e quale il ricordo meno entusiasmante della sua esperienza juventina?
“Di momenti entusiasmanti ce ne sono stati tanti. Sono stato fortunato anche in questo nel senso che ho giocato tante partite, abbiamo vinto tanto e quindi di momenti belli ne ho passati parecchi, certamente la vittoria della Champions a Roma e conseguente vittoria dell’Intercontinentale a Tokyo sono stati l’apice di tutto quanto. Però ricordo anche il mio primo anno alla Juventus in cui giocai le due semifinali di Coppa Uefa contro il Paris Saint-Germain che ci aprirono le porte alla finale. Quell’anno vincemmo la Coppa Uefa quando era ancora la Coppa Uefa, quella vera, e non quella che oggi si chiama Europa League. Lì potevano parteciparvi solo la seconda, la terza e la quarta classificata in campionato e non le eliminate dai gironi di Champions League, come accade oggi. Il momento meno entusiasmante fu sicuramente la partita di Perugia. Perdere lo scudetto in quel modo all’ultima giornata è stato un qualcosa di talmente strano che mi ha lasciato un grosso amaro in bocca perché la partita giocata in maniera regolare la puoi anche perdere, ma in quel modo lì, sinceramente no“.
Nei suoi 10 anni di Juventus ha avuto allenatori del calibro di Trapattoni, Lippi ed Ancelotti. Può tracciare un breve profilo di ognuno dei tre, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista prettamente sportivo?
“Una delle grandi fortune mie è stata quella di essere in una squadra come la Juventus ed incontrare tre tra i più vincenti allenatori della storia italiana di tutti i tempi. Anche in questo riconosco di essere stato molto fortunato. Trapattoni era ed è una persona, a dispetto di quello che si potesse pensare, molto umile. Umanamente una persona eccezionale e calcisticamente un uomo molto preparato, d’altro canto i risultati parlano per lui. Per quanto riguarda Lippi, non posso che definirlo una persona eccezionale. Con lui ho trascorso sei anni da giocatore e poi altri sei anni come suo collaboratore nell’esperienza cinese. Conoscitore del calcio come pochi nel mondo, e una persona alla mano. In Cina stavamo sempre insieme e per me è diventato un po’ come un fratello maggiore o un amico. Infine Ancelotti, anche lui calcisticamente preparatissimo e a livello umano una persona splendida. E’ il più giovane dei tre per cui era quello che più si avvicinava alla mia età ed era quasi come fosse un compagno di squadra quando lo ebbi dal 1999 al 2001. In sostanza tre allenatori accomunati dal fatto di essere tre bravissime persone e indiscutibili dal punto di vista dei risultati sportivi“.
Lei ha giocato con tantissimi grandi campioni da Peruzzi a Buffon, da Ferrara a Thuram a Cannavaro, da Deschamps a Nedved, da Baggio a Zidane a Vialli sino a Del Piero, per citarne solo alcuni. Chi secondo lei il più grande tra quelli con cui ha giocato? Chi invece il più leader dello spogliatoio?
“Guardi, di leader dello spogliatoio ce ne sono stati diversi. Spesso si finisce per fare i nomi di quelli più conosciuti, dei grandi campioni, ma soprattutto nei primi anni da Vialli a Dino Baggio, a Peruzzi, sino al sottoscritto avevamo fatto un bel gruppo in cui eravamo tutti leader. Se devo farle un nome su tutti, specie nei primi anni, le dico Luca Vialli, poi successivamente Ciro Ferrara, Di Livio, Torricelli, Deschamps o lo stesso Montero. Però il leader come lo intendo io non era quello che si imponeva o comandava su tutti, bensì erano tutti quelli che trascinavano il resto del gruppo col loro carisma ed anche con la loro capacità di essere di grande compagnia e di fare scherzi. Per quanto riguarda il giocatore più forte con cui ho giocato è difficilissimo stilare una classifica perché ho avuto la fortuna di giocare con tantissimi giocatori di livello assoluto. Dal punto di vista prettamente tecnico sicuramente Zinedine Zidane è quello più forte, ma anche Roberto Baggio, Alex Del Piero e Luca Vialli… (breve pausa) insomma, c’è l’imbarazzo della scelta“.
Lei è considerato uno dei migliori secondi portieri della storia della Juventus. Avrebbe potuto giocare titolare in altre squadre ma scelse sempre di rimanere a Torino. Cosa la spinse a rinunciare a un posto da titolare altrove? Rifarebbe questa scelta?
“Mi spinse il fatto che sono tifoso juventino ed essere arrivato alla Juventus fu un traguardo incredibile e preferii restare a Torino. Poi come ho detto prima avevo la mia convinzione che avrei potuto giocare e togliermi le mie soddisfazioni e le circa 100 partite giocate, praticamente nei primi 8 anni, perché negli ultimi due avevo ormai 40 anni, mi hanno dato ragione. Ho preferito giocare 10 partite all’anno alla Juve, piuttosto che farne 30 altrove. Scelta che non rinnego e rifarei assolutamente“.
Vesta i panni del Direttore Sportivo. Quale portiere suggerirebbe alla sua dirigenza nella prossima sessione di mercato?
“Dipende da quello che ci si aspetta. Senza dubbio in questo momento il più forte è Donnarumma che nonostante sia ancora giovanissimo vanta già una grande esperienza in Serie A ed è il portiere titolare della Nazionale. Quindi direi lui. Se invece dovessi puntare su altri, a me piace molto Audero della Sampdoria e mi piace Meret del Napoli. Detto questo Szczesny è un buon portiere quindi per il momento lascerei lui“.
Veniamo all’attualità. La Juventus quest’anno ha operato nella direzione di un deciso svecchiamento della rosa inserendo giovani interessanti. Come giudica il mercato di Paratici?
“Guardi, a mio avviso Paratici ha fatto un buon mercato. A me piace molto Chiesa anche perché io sono a favore dei giovani promettenti italiani. Gli altri sono da valutare, lo stesso Arthur che è costato tanti soldi va visto nel nostro campionato. Però nel complesso è stata una buona campagna acquisti. Se devo trovare un neo mi dispiace per le cessioni, seppur in prestito, di Rugani e De Sciglio perché, lo ripeto, io sono per i giocatori italiani. Soprattutto non mi sarei privato di un centrale perché con tante partite da giocare, l’infortunio può essere all’ordine del giorno e Giorgio (Chiellini n.d.r.) ha una certa età per cui, fatto salvo che non sia stato Rugani a chiedere di andare via, non me ne sarei privato. Nel complesso comunque direi che è stato fatto un buon mercato“.
Juventus-Napoli, che non si è disputata, è stata un pasticcio. A tal proposito qual è il pensiero di Michelangelo Rampulla?
“Che è stato un pasticcio (ride), nel senso che ci sono delle regole e queste vanno rispettate è indubbio. Altrimenti chiunque presenti in squadra uno o più positivi vorrebbe non giocare. Se invece dobbiamo pensare alla salute di tutti, tesserati e non, allora non si dovrebbe giocare nessuna partita. Sono state fatte delle regole per consentire al campionato di essere disputato per cui o si gioca o non si gioca, diversamente è tutto un pasticcio. Ora vedremo come andrà a finire con Juventus-Napoli, certo che vincere a tavolino non è mai bello e a me non piace, le partite voglio vincerle sul campo“.
La Juventus è spesso sotto attacco. Dal servizio su Report, alla vicenda Suarez, alla mancata disputa della sfida col Napoli, sino al servizio delle Iene sull’audio sparito del Var nella famosa partita Inter-Juventus. Lei che per 10 stagioni ne ha difeso i colori, avvertiva questo astio e questa avversione nei confronti della Juventus? E che sentimenti scatena in voi calciatori che lavorate duramente per raggiungere gli ambiti successi?
“Sicuramente si avvertiva. Però quel sentimento di sudditanza si avvertiva di più quando eri dall’altra parte. Ad esempio quando ero alla Cremonese, non solo verso la Juventus, ma anche verso l’Inter o verso il Milan, avvertivamo quella sensazione di sudditanza nei loro confronti. Quando giocavi contro queste grandi squadri la avvertivi. Le squadre piccole subiscono spesso questa sudditanza psicologica, purtroppo è così. Quando sei alla Juve lavori duramente per ottenere successi e spesso sei la squadra più forte, ma un episodio a favore scatena miliardi di parole. Non è la stessa cosa quando accade alla Lazio, o alla Sampdoria piuttosto che al Genoa. Tutti noi abbiamo avuto dei favori o subìto dei torti, chi più e chi meno, ma la ridondanza che ha il commentare la Juve non è la stessa che si ottiene nel commentare le altre. Io stesso a Cremona ho ricevuto dei rigori che non c’erano, ma nessuno si è scandalizzato e posso dirle che ugualmente accade quando a trarre vantaggio sono squadre come Lazio, Sampdoria o Genoa come dicevo prima“.
Il calcio e l’amicizia sono due cose che possono coesistere? Nel corso della sua carriera ci sono compagni di squadra con cui ha stabilito un rapporto di vera amicizia?
“Sicuramente sì. Io sono rimasto amico con diversi miei compagni di squadra. L’amicizia non si misura dal numero di incontri o di telefonate, ma la si misura nel momento in cui uno ha bisogno e tu ci sei sempre. Ho diversi amici nel mondo del calcio, ad esempio Maspero e Giandebiaggi quelli con cui mi è rimasto un legame più stretto, ma anche con Ferraroni, Montorfano, Rizzardi e Nicoletti, tutti ex Cremonese, sono rimasto in contatto e siccome abito sul mare, di tanto in tanto mi vengono a trovare. Alla Juventus sono rimasto molto amico con Peruzzi, quello con cui ho stabilito il rapporto più stretto. Ma anche con Ravanelli, Di Livio e Vialli ci sentiamo spesso. Comunque rispondendo alla sua domanda le dico che anche nel mondo del calcio possono nascere vere amicizie“.
Il calcio e i giovani. Perché secondo lei società come la Juventus e l’Inter, ma non solo, non riescono a portare in prima squadra in pianta stabile, giovani cresciuti nel settore giovanile?
“Perché ormai si pensa soltanto al fattore economico. Questa è la mia idea, se si vanno a vedere i settori giovanili sono pieni di ragazzi stranieri che, per l’amor del cielo, va bene, ma anche lì andrebbero posti dei limiti. I giovani italiani si vedono sempre esclusi a favore di quelli stranieri perché questi ultimi costano qualcosina di più ed hanno la priorità nel giocare. Il rischio è che a tanti ragazzi magari passi poi la voglia di giocare. Nelle società non credo ci sia oggi quello scouting che c’era un tempo, in cui si andavano a scoprire i giovani talenti nei campetti di periferia. Oggi ci si affida ai procuratori che fanno loro lo scouting dei calciatori nel senso che vanno a vedere i ragazzini di 12 anni e fanno firmare dei contratti di procura ai genitori sperando di trovare il nuovo Messi o il nuovo Ronaldo. Poi questi procuratori vanno dai direttori sportivi delle società a proporre questi giovani calciatori, molti dei quali li vanno a prendere all’estero promettendogli mari e monti e riempiendo così i settori giovanili italiani. In ultimo alle società italiane conviene andare a comprare ragazzini già fatti, piuttosto che crescerli in casa che costano molto di più e questo, a mio avviso, è un errore clamoroso“.
Siamo in chiusura e allora voglio chiederle come vede la Juventus nella prossima Champions League?
“Eh… (grande sospiro) come la vedo, io spero bene, soprattutto mi auguro che faccia una grande Champions. La concorrenza è molto elevata, le altre squadre sono tutte molto forti però magari quest’anno, che la Juve sembra meno favorita rispetto agli anni passati, è l’anno che può far meglio. Io chiaramente da juventino lo spero e me lo auguro di cuore“.
Rampulla la ringrazio per la cortesia, il tempo e l’opportunità che mi ha concesso.
“Nessun problema è stato un piacere, a risentirci“.
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